Leggendo Guido Oldani poeta del “realismo terminale”
Marzo 31, 2016
Leggendo
il
Ralismoterminale,
breve
saggio-pamphlet
di
Guido
Oldani
,
attualmente
una
delle
voci
poetiche
italiane
di
maggiore
spessore
in
Europa,
sulla
realtà
di
questo
difficile
inizio
di
millennio,
più
volte
sono
stato
tentato
di
cambiare
lettura,
irritato
da
affermazioni
che
collidono
con
il
mio
modo
di
vedere
la
vita,
la
posizione
dell’uomo
nel
mondo
attuale e il ruolo del poeta in particolare.
Quello
di
Oldani
sembra
essere
un
pessimismo
radicale
che
nega
in
toto
l’essenza
umana
a
favore
di
un
consumismo
che
non
è
più
piacere
di
possedere
ma
ineluttabile
segno
dell’essere
posseduti.
In
questa
realtà
irreversibilmente
rovesciata,
che
l’autore
disegna
con
arguta
ironia
e
nella
quale “l’oggetto determina, agendo come un boomerang, le
nostre
regole
esistenziali”(pag.38),
sembra
non
esserci
posto
per
la
speranza,
benché
minima,
di
un
cambiamento.
Mi
infastidisce,
per
esempio,
l’idea
del
“bozzolo”di
oggetti
che
ormai
circonda
l’uomo:
ai
“bachi
da
seta”(pag.34)
non
si
dà
possibilità
di
diventare
mai
farfalle,
la
seta
andrebbe
persa.
Pur
ammettendo
che
l’uomo
possa
scegliere
di
diventare
farfalla,
il
suo
volo
sarebbe
breve
e
lo
condurrebbe
ad
una
rapida
morte,
non
prima
comunque
che
egli
abbia
dato
vita
a
futuri
bachi
a
loro
volta
condizionati
in
una
scelta
che
non
porta
lontano,
che
non
sembra
felice
in
nessun caso e più che una scelta sembra una sorta di ineludibile fatalità.
È
pur
vero
che
la
nuova
tecnologia
è
invasiva
e
la
pubblicità
continua
a
proporci
prodotti
di
ogni
genere
che
in
poco
tempo
vengono
sostituiti
da
altri
più
efficaci,
più
belli,
più
alla
moda,
più….
Ma
in
questo
avvicendarsi
di
oggetti
in
cui
i
vecchi
permangono
insieme
ai
nuovi
e
siamo
sommersi
di
“cose”,
io
non
riesco
a
vedere
una
sorta
di
apocalisse,
di
morte
annunciata
dell’essere
umano.
Ma
davvero
siamo
già
tutti
morti?
E
se
sì,
che
senso
può
avere
parlare,
per
di
più
in
versi,
a
uno
stuolo
di
non
viventi?
Quale
il
ruolo
del
poeta?
Penso
che
ogni
epoca,
se
osservata
con
occhio
il
più
possibile
oggettivo,
ci
offra
fenomeni
simili
a
quello
attuale,
che
quindi
appare
come
un
cambiamento
legato
ai
tempi.
Oggi
l’uomo
non
brandisce
una
clava
ma
un
telefonino,
non
usa
penne
d’oca
e
bolli
e
ceralacca
ma
un”topo”
su
un
semplice
“invia”,
non
ha
carrozze
e
cavalli
ma
fa
Milano-Bologna
in
un’ora,
i
moderni
Colombo
non
vanno
sul
mare
ma
nello
spazio
e
i
nuovi
regnanti
guardano
al
profitto
e
al
prestigio
anche
se
non
siedono
su
un
trono
e
sono
imprecisati
soggetti
nascosti
dietro
termini
come
banche
o
multinazionali,
ma
la
sostanza
non
cambia
perché
cambiano
i
tempi
ma,
dal
tempo
delle
caverne
al
tempo
dei
grattacieli,
l’uomo
ha
conservato
la
propria
natura
fallace.
Se
guardiamo
all’umanità
come
a
un
insieme
di
singoli,
ognuno
con
peculiarità
proprie,
e
non
come
a
un
uniforme
corpo
unico,
possiamo
scoprire
insospettate
realtà
variegate
e
dissimili
da
una
massa
ad
un
passo
dal
fagocitante
mostro
oggettuale.
Forse
non
sono
molte
ma
esistono
persone
che
per
scelta
non
possiedono
un
televisore,
una
lavastoviglie
o
un
frullatore,
che
non
regalano
ai
propri
figli
una
Barbie
o
un
videogioco
alla
settimana,
che
non
si
conformano
cioè
a
certe
tendenze
del
momento
e
conservano
autonomia
di
pensiero
e
senso
critico,
gente
comune
che
guarda
con
concretezza
alla
vita
come
a
un
dono
del
quale
fruire
con
un
equo
dosaggio
di
rispetto,
amore
e
ironia condito con un pizzico di leggerezza.
In
quanto
al
poeta,
superate
certe
convinzioni
di
dannunziana
memoria,
quando
non
si
fregi
impropriamente
di
tale
appellativo,
è
sicuramente
una
persona
fuori
dal
coro,
una
diversa
sensibilità
capace
di
cogliere
sfumature
ignote
ai
più,
distratti
da
un
quotidiano
pressante.
In
quanto
poeta
esprimerà
il
suo
sentire
e
non
si
darà
un
ruolo,
le
sue
parole
saranno
solo
un
invito
alla
riflessione
sul
nostro
essere
umani,
insieme
di
pregi,
difetti,
sentimenti.
Il
poeta
è
e
sempre
sarà
“un
uomo
che
parla
agli
uomini”(W.
Wordsworth)
con
sincerità
e
con
la
capacità
di
emozionare,
di
risvegliare
la
parte migliore di ognuno di noi.
Sebbene
non
mi
senta
di
condividere
appieno
il
pessimismo
di
Guido
Oldani,
di
lui
invece
apprezzo
molto
la
poesia
epigrammatica,
ironica,
a
volte
dissacratoria
da
cui
emerge
una
morale
senza
moralismi
e
il
coraggio
delle
proprie
idee
che
da
solo
smentisce
quel
“terminale”
che
il
poeta
aggiunge
a
“realismo”.
Oldani
descrive
una
realtà
che
appare
senza
speranza,
ma
la
speranza
che
la
vita
non
sia,
già
al
suo
manifestarsi,
una
morte
annunciata
si
affaccia
proprio
dal
suo
far
poesia,
speranza
d’essere
ascoltato,
speranza
che
le
sue
“similitudini
rovesciate”
possano
in
un
tempo
imprecisato
riprendere
il
verso
giusto
e
che
l’uomo
di
oggi,
guasto
di
modernità,
riacquisti
un
se
stesso
più
libero
e
meno
marionetta.
Il
poeta
non
parla
mai
solo
a
se
stesso
e
poichè
la
poesia
non
è
morta,
Oldani
ne
è
esempio,
sarà
proprio
il
poeta
a
scrivere
parole
di
rinascita
sulla
porta
di
un
mondo
che
non
sarà
più
quello
in
cui
”c’è
un
po’
di
tutto,
tranne
che
l’amore”
(L’incudine)
e
gli
“amanti”,
oggi
“indumenti
“
che
“si
avvinghiano
bagnati
in
un
groviglio”(La
lavatrice), torneranno ad essere uomini in carne ed ossa.
La lavatrice
la centrifuga gira come un mondo
e i suoi abitanti sono gli indumenti
riposti dalla coppia dei congiunti.
si avvinghiano bagnati in un groviglio
i rispettivi panni in capriola,
sono rimasti questi i soli amanti,
quegli altri se si afferrano è alla gola.
(Il cielo di Lardo, Mursia 2008)
L’incudine
somiglia ad un’incudine il quartiere,
su cui siamo battuti e modellati
virilmente dai colpi degli oggetti.
è una forgia la vita cittadina
e siamo insaponati dal rumore
e la neve nasconde il malaffare,
poi la nebbia è l’unico pudore,
c’è un po’ di tutto, meno che l’amore.
(Inedito)