Come fare ad essere
legare la vita, esistere.
Non aspetterò che di trasformarmi
Io nascerò di nuovo.
(Giacomo 1995)
Il Posto di Giacomo
Indice
Premessa
pag. 1
Il Ginnasio
pag. 9
Buongiorno ragazzi
pag. 11
Io sono Giacomo
pag. 13
La mia famiglia
pag. 15
I disturbi sensoriali
pag. 20
Negli occhi degli altri
pag. 24
Le parole
pag. 28
Comunicare ed essere
pag. 31
Una brava maestra
pag. 34
L’estate del ‘95
pag. 37
Il mio amico Bernardo
pag. 41
Ho paura!
pag. 43
Un palloncino viola
pag. 45
La variabile tempo
pag. 49
La mia prima Ferrari
pag. 51
Annalisa
pag. 52
Il coraggio
pag. 54
La mia stanza
pag. 60
Cambiare
pag. 62
Una nuova scuola
pag. 67
La prova
pag. 68
Tempo di maturità
pag. 70
Verso l’epilogo
pag. 74
L’esame di stato
pag. 76
Numeri
pag. 78
In futuro pag. 80
Premessa
Scrivere… perché?
Migliaia di persone scrivono, ma perché scrivono?
Perché si decide di regalare ad altri la propria anima, la propria fantasia, i propri pensieri,
la propria esperienza? Perché ci si espone alla critica, al giudizio di altri? E soprattutto,
perché affidare al tempo il proprio essere traducendolo in carta stampata? Anch’io scrivo,
quantomeno ci provo. Ho iniziato a comunicare scrivendo per necessità, a risolvere
attraverso la parola scritta alcuni tra i molteplici problemi legati all’assenza (o quasi) di un
linguaggio funzionale ed ho scoperto che scrivere mi piace. Mi piace appuntare i pensieri,
tradurre emozioni, sentimenti, sogni… in linguaggio comprensibile, cercare di essere un
buon artigiano della parola nel tentativo di renderne almeno gradevole la lettura. Io penso
che in ogni umano si agitino coppie contrastanti: egoismo/ altruismo,
esibizionismo/pudore, sadismo/masochismo,… ma in tutti alberghi prepotente un
desiderio incontrastabile di condivisione. Nulla ha significato se non si ha nessuno con
cui condividere quel nulla: per quanto individualismo l’uomo possa coltivare, non sarà
mai capace di vincere la parte sociale di sé e provarne piacere. In chi pensa che la
propria strada passi per il sentiero della carta stampata più forti sono i contrasti, più acuta
l’attenzione ai sentimenti, irresistibile il piacere della condivisione, l’idea che ci sia
sempre qualcuno che, trovate le sue parole, rimanga intento a leggerle e non le cestini al
secondo capoverso, proprio come chi è riuscito ad arrivare alla fine di questa paginetta.
Il ginnasio
L’aula è piccola ma luminosa e comunque bastante per quindici teste arruffate e una cattedra.
Ne conosco ogni centimetro quadrato. I finestroni, che coprono una intera parete, si
affacciano sul cortile interno, la palestra all’aperto del tempio; in fondo a destra la grande
palestra coperta esterna, confinante con la vicina scuola media, e sullo sfondo file di alberi
che nascondono la strada che mi porta a scuola ogni giorno e prosegue in stretti tornanti che
abbracciano la collina. La cattedra si volge alle file disordinate dei banchi e alla bacheca a vista,
una barra su cui vengono affissi gli avvisi tra i quali si confonde il colore solitario dei miei auguri
natalizi senza risposta.
Sulla stessa parete l’attaccapanni e, in basso a sinistra, un armadietto metallico, inutile pezzo
d’arredamento di cui si è persa la chiave da tempo immemorabile (avrebbe dovuto custodire
portatile e stampante di mia proprietà). Alle spalle della cattedra la lavagna e un piccolo
Cristo a cui, chi prima chi dopo, tutti abbiamo levato lo sguardo in una muta richiesta d’aiuto.
Appesa accanto alla porta d’ingresso una carta geografica un po’ meno gettonata del Cristo.
Un’aula come tante, anonima e disadorna, finché non si anima delle voci e dei gesti dei ragazzi.
È come leggere il medesimo copione ogni mattina: qualcuno ripassa freneticamente l’ennesima
lezione di storia, altri si affannano a copiare la versione di Greco o di Latino, tutti esprimono
la preoccupazione
per questo o per quello, le solite tre parlano di vestiti.
Io sono Giacomo
Io sono Giacomo, di professione studente a tempo pieno. Nel
tempo libero mi piace leggere, ascoltare musica e appuntare sullo schermo del mio
computer i miei pensieri. Raccontato così sembro proprio un’indistinta macchia tra la
folla di studenti adolescenti. Un po’ brufolosi, alti o bassi, magri o grassi ci
assomigliamo tutti, abbiamo perfino la stessa espressione tra l’addormentato e
l’ingrugnito mentre varchiamo al mattino la soglia del ginnasio. E tuttavia io non
passo inosservato. Innanzi tutto sono l’unico fortunato che ha… il portaborse, in
genere mio padre, e poi sono l’unico che non parla con altri ma «si» parla, l’unico
che ogni tanto sembra avere in antipatia i gradini, infatti agito le braccia come se da
un momento all’altro dovessi mettermi a volare, l’unico che saltella prima di entrare
in classe e poi corre alla finestra a controllare che nessuno gli abbia sostituito il
panorama. Insomma ho il privilegio di essere il primo e unico studente autistico del
ginnasio che frequento. E infine possiedo una X un po’... diciamo un po’... fragile, ma
questa non si vede, cioè chi mi sta intorno non è dotato dell’attrezzatura giusta per
ipotizzarla. Vi risparmio espressioni e commenti mattutini al mio ingresso in scuola. Il
guaio è che forse ha proprio ragione Pirandello con i suoi sei personaggi e tutte le
sue elucubrazioni e ciascuno di noi non esiste se non come proiezione del pensiero
dell’altro, che di norma tenta di interpretarlo senza accorgersi di avere fatto una
scelta di comodo: pochi sanno o desiderano liberarsi dei propri abiti per indossare
quelli dell’altro e tentare di muovercisi dentro. Ma la scuola riveste un ruolo decisivo
per me e irrinunciabile. In quale altro posto potrebbero esserci migliori e più
numerose occasioni di crescita e di contatto sociale? Dove potrei infatti incontrare un
così elevato numero di ragazzi della mia età che si prodighino con grande impegno
per normalizzarmi? E gli adulti? Con loro va anche meglio, quasi tutti pretendono per
me il miracolo della normalità: fenomenale! A parte le lezioni di Italiano, Latino,
Greco, Matematica… questa scuola mi ha riservato una lezione di vita impagabile.
Infatti non è stata gratis e mi ci vorranno molti anni per estinguere il debito, pagato in
termini di sofferenza, ma compensato dal successo personale (sono sempre stato
promosso con ottimi voti) e dall’aver conosciuto alcuni, pochi, ottimi insegnanti,
persone di grande umanità verso le quali nutro affetto e gratitudine profonda
giacomodenuccio.it