GIACOMO DE NUCCIO
Come fare ad essere legare la vita, esistere. Non aspetterò che di trasformarmi Io nascerò di nuovo. (Giacomo 1995)
Torna indietro Torna indietro
Concorso Letterario “Premio Giuseppe Pontiggia 2009” Sezione Narrativa – 5° Classificato Bologna 11 Dicembre 2009  La fuga Tanto tanto tempo fa c'era il paese Stranezza. Una nube, molto diversa dalle altre, ne aveva attraversato il cielo e aveva scatenato una pioggia di dolore. I suoi abitanti comminavano senza piedi, guardavano con le orecchie, grandi e perfette, ascoltavano con gli occhi e facevano tanta fatica anche a giocare, passavano le loro giornate tentando di cambiare e non gioivano di niente. Gli adulti erano rassegnati alla solitudine. A Stranezza non si  sposava nessuno, non si facevano feste, non sembrava nemmeno un paese, cominciarono a chiamarlo il MONDO A PARTE . Il tempo continuò la sua corsa. In un grigio mattino di gennaio si presentò uno strano personaggio. Bello, alto, bruno, aveva gli occhi buoni e il passo lento e strascicato. I lunghi calzoni stropicciati gli conferivano un'aria trasandata, ma non toglievano dignità al suo aspetto. Il leggero bagaglio pendeva dimenticato al suo braccio sinistro, il fianco destro accoglieva un'ombra inerte, la bocca, accennante un sorriso scanzonato, segnava di brevi rughe il volto aperto e fiero. Lo sconosciuto lesse il nome di una via e al numero 57 si fermò. Con gesto misurato suonò il campanello, tutto in lui rimandava l'abitudine alla pazienza e alla tolleranza. La voce roca di uno strumento da tempo desueto echeggiò sinistra. L'uomo attese. Il cigolio di vecchi cardini rinsecchiti accompagnò l'apertura interminabile dell'uscio. Dall'interno un odore di stantio forte e penetrante e un buio compatto. Parole che suonarono come sbadigli: “Chi siete?”. Per un attimo lo sconosciuto smarrì. Riconobbe la piccola figura, il tempo non l'aveva cambiata, solo, ai margini degli occhi, leggeri solchi e raggi argentei sui capelli. La voce dell'uomo giunse familiare e dolce. “Sono io”, disse, “sono tornato”. Il tempo sembrò fermarsi e appannate immagini di un identico flash back attraversarono il cuore di entrambi. La donna mosse in avanti, le mani ancorate all'urlo silenzioso che punse i suoi occhi. Le pagine del tempo  si ricomposero....... l'uomo abbandonò il bagaglio e il suo petto accolse le lacrime di sua madre in un abbraccio consolatorio a lungo sospirato. Era fuggito tanto frustrato quanto giovane e sprovveduto, spaventato dalle sue diverse abilità. Per certi versi abitante di MONDO A PARTE  e parte del mondo, così vivo in quel mare di morti. Fuggito senza parole verso una speranza. Ritornare non faceva parte dei suoi piani. Non si staccò da lei che per tergerle il volto e la riaccolse in quel suo modo tenero di sempre di comunicarle il suo amore. “Figlio”, sussurrò la donna, “figlio...” L'attesa aveva rubato i suoi giorni e adesso? Seguiva irrefrenabili  pensieri e ibernava mille interferenti interrogativi. Sesto senso o desiderio?  Stretta a lui seppe ch'era tornato per restare. Troppo tardi aveva compreso il vero motivo della sua fuga e si era consegnata ad una ferita insanabile. Il giovane, fortemente costretto da un ambiente intimamente vile e sostanzialmente incapace, aveva permesso al laconico perbenismo dei più di schiacciarlo per quel braccio e quel piede mai nati. La fuga era stato un atto di coraggioso amore verso la vita, ma lei lo aveva odiato, dolorosamente, per quel lutto impostole. Non voleva comprendere, voleva suo figlio. Era stata egoista. Grande era, dominante e preziosa, la gioia di oggi. Egli, attraversando il mondo, aveva conosciuto il bene e il male, sempre con il timore di essere troppo diverso per vivere nel mondo. Per un tempo incalcolabile non aveva gustato i doni fantastici della vita, poi, come spuntate da un magico cilindro, le sue oltremodo pregevoli virtù contrapposero e l’uomo aveva varcato in tempo, con strabiliante costanza, con raffinata destrezza la soglia di quell’eremo in cui era stato confinato. Era fuggito per salvarsi, per difendersi e difendere quel principio di uguaglianza che a tutti concede il diritto alla vita e alla ricerca della felicità. Aveva studiato, studiato e lavorato, signor dottore lo chiamavano tutti, e, oltre ogni limite competente, aveva volto le sue energie a salvare anche coloro che avrebbero meritato di essere distrutti. Nemmeno una briciola di rancore, solo una fastidiosa cicatrice dolorante per quella casa e quella madre mai dimenticate. Ora, consapevole finalmente d’essere, poteva restare, ricucire un brandello di vita che gli apparteneva.. “Andiamo!”, disse e si avviarono. Bentornato!, sussurrarono i muri e ogni cosa prese a risplendere di antico amore, di nuova vita. Sul fuoco una pentola borbottò zelante e allegra un saporito e vivace saluto profumato e familiare. Riproduzione (parziale/totale) non autorizzata.
giacomodenuccio.it
Home Home Leggere Giacomo Leggere Giacomo Collaborazini Collaborazini Collaborazioni Collaborazioni Contatti Contatti Sulla stampa Sulla stampa Ci hanno scritto Ci hanno scritto Link utili Link utili Collaborazioni Collaborazini Collaborazioni Collaborazioni Collaborazioni Collaborazini Collaborazioni Collaborazioni