La radio degli studenti dell'Università di Pisa
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Leonardo Sciascia: UN VOLUMETTO DI INAUDITA GRAZIA
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November 19, 2015
La radio degli studenti dell'Università di Pisa
RadioEco
La radio degli studenti dell'Università di Pisa
Il 20 Novembre 1989 muore Leonardo Sciasci. Per il ventiseiesimo anniversario della sua
scomparsa eccomi qui ad invitarvi alla lettura di un volumetto di inaudita grazia, La Sicilia, il
suo cuore - favole della dittatura, edito da Adelphi (1997), oggi una rarità. Il volumetto
riunisce due oper giovanili del nostro grande scrittore: Favole della didttatura, che risale al
1950 e rappresenta l’esordio di Sciascia in campo letterario, e La Sicilia, il suo cuore, del 1952,
che è la prima e unica raccolta in versi del nostro autore. Entrambe le opere furono in un
certo senso rinnegate da Sciascia che, forse ritenendole imperfette,non volmai
semplificazionw le inserirle nelle Opere Complete edite da Bompiani nel 1987.
Il volumetto è corredato del saggio Dittatura in fiaba di P.P. Pasolini il quale invece,apprezzò
molte Favole della dittatura avendosaputo riconoscere in esse quelle capacità critiche ed
espressive che più chiaramente sarebbero emerse nelle successive oper di Sciascia. Di queste
favole, il carattere sancito dal titolo, apprezzol’ironia ela brevità della forma e della frase, mai
immagine presa da
www.adelphi.it
semplificazione banalizzante. In unasortadiresistenza passiva, Sciascia condanna, nel ricordo,il facismo che, nel suo
manifestarsi, fufavorito,come ogni dittatura,da quel tanto di servilismo che alberga nell’animo umano.
L’amicizia del toro
«Va bene, mia moglie sarà la vaca che tudici», rispose il bue all’indiscreto argomentare del cavallo; «ma
indubbiamente l’amicizia deltoro mi fa onore».
immagine presa da it.wikipedia.org
Con una prosa che in più punti sfiora la poesia egli mette in rilievo la divisione
tra dominanti dominati, elemento distintivo di ogni regime didattoriale. Merita
tutta la nostra attenzione la prima favola che, pur riproponendo l’opposizione
della più antica Il lupo e l’agnello di Fedro, èemblematica del totalitarismo
modrno come affermazione della necessità di sottomettere perfino le
coscienze e della volontà di colonizzare il pensiero.
So quel che pensi
Superior stabat lupus: e l’agnellolo vide nello specchio torbito dell’acqua.
Lasciò di bere, e stette a fissare questa terribile immagine specchiata.
«Questa volta non ho tempo da perdere», disse il lupo.»Ed ho contro di te
un argomentobenpiù valido dell’antico: so quel che pensi e non provarti a negarlo».
E dun balzo gli fu sopra a lacerarlo.
Prsonalmente ho anche apprezzato la più breve
Il cane
Il cane abbaiava alla luna. Ma l’usignolo per tutta la notte tacque di paura.
La mia anima siciliana è stata definitivamente conquistata dalla breve raccolta poetica La Sicilia, il suo cuore.
Immagini
nitide
e
spesso
amare
(l’immobile
occhio
del
bue,
i
corvi
che
discendono
lenti,
il
maggio
sciroccoso,
i
morti
binari,
…)
sembrano
restituirci
una
Sicilia
da
sempre
emblema
d’immobilismo
ma
anche
centro
del
mondo
dello
scrittore
che
ebbe
modo
di
dire:
“Vittorini,
Brancati,
Quasimodo
offrirono
più
o
meno
direttamente
i
tre
temi
siciliani
…
la
Sicilia
come
mondo
offeso
…
come
teatro
della
commedia
erotica
…,
come
luogo
di
bellezza
e
di
verità.
(Leonardo
Sciascia:
La
corda
pazza,
scrittori
e
cose
della
Sicilia,
Torino,
Giulio Einaudi Editore, 1970)”.
L’isola
di
Sciascia
è
senza
dubbio
molto
vicina
a
quella
di
Quasimodo,
luogo
di
bellezza
e
di
verità
ma
anche
di quell’inquietudine nostalgica e silenziosa che scava il cuore e il volto di ogni siciliano doc:
Un velo d’acque
Un velo d’acque trepido di sbocci
smemora ora la terra. Il lungo inverno
ha lasciato vigile l’ulivo, aspro il roveto,
e il mandorlo esile
tracciato contro il cielo luminoso.
E la linfa cerca il secco rancore,
scioglie i nodi del gelido cruccio.
Musicalmente una pietra remota,
accende sua figura: come una luce
di verde e argento
che mi chiude nel cuore di uno specchio.
In memoria
L’inverno lungo improvviso si estenua
nel maggio sciroccoso: una gelida
nitida favola che ti porta, al suo finire,
la morte – così come i papaveria
ccendono ora una fiorita di sangue.
E le prime rose son presso le tue mani esangui,
le prime rose sbocciate in questa valle
di zolfo e d’ulivi, lungo i morti binari,
vicino ad acque gialle di fango
che i greci dissero d’oro. E noi d’oro
diciamo la tua vita, la nostra
che ci rimane – mentre le rondini
tramano coi loro voli la sera,
questa mia triste sera che è tua.
Non vi inganni l’esiguo numero di pagine, l’invito alla riflessione è in ogni rigo, oserei direin ogni parola.
Buona lettura,
Giacomo De Nuccio