Come fare ad essere
legare la vita, esistere.
Non aspetterò che di trasformarmi
Io nascerò di nuovo.
(Giacomo 1995)
Forlì 5 Novembre 2005
Convegno prime giornate forlivesi Disturbi dello Spettro Autistico
Giacomo De Nuccio: “Uno, nessuno...” ovvero “La fatica di essere se stessi”
Buongiorno a tutti.
Il mio nome è Giacomo, ho 16 anni,di professione studente a tempo pieno .Nel tempo libero mi piace leggere ,
ascoltare musica e appuntare sullo schermo del mio computer i miei pensieri.
Raccontato così sembro proprio un’indistinta macchia tra la folla di studenti sedicenni. Un po’ brufolosi,alti o
bassi,magri o grassi ci assomigliamo tutti ,abbiamo perfino la stessa espressione tra l’addormentato e l’ingrugnito
mentre varchiamo al mattino la soglia del ginnasio e tuttavia io non passo inosservato.
Innanzi tutto sono l’unico fortunato che ha il ...portaborse, in genere mio padre, e poi sono l’unico che non parla con
altri ma “si” parla, l’unico che ogni tanto sembra avere in antipatia i gradini, infatti agito le braccia come se da un
momento all’altro dovessi mettermi a volare,l’unico che saltella prima di entrare in classe e poi corre alla finestra a
controllare che nessuno gli abbia sostituito il panorama, .... insomma ho il privilegio di essere il primo e unico
studente autistico del liceo che frequento e infine possiedo una X un po’... , diciamo un po’ ...fragile, ma questa non si
vede, cioè chi mi sta intorno non è dotato dell’attrezzatura giusta per ipotizzarla.
Vi risparmio espressioni e commenti mattutini al mio ingresso in scuola.
Il guaio è che forse ha proprio ragione Pirandello con i suoi “6 personaggi...” e tutte le sue elucubrazioni e ciascuno di
noi non esiste se non come proiezione del pensiero dell’altro che di norma tenta di interpretarlo senza accorgersi di
avere fatto una scelta di comodo: pochi sanno o desiderano liberarsi dei propri abiti per indossare quelli dell’altro e
tentare di muovercisi dentro.
Riflettiamo.
Quella di non saper cogliere l’altro è una caratteristica delle persone autistiche, almeno così si dice.
E’ veramente curioso che molti miei compagni di avventura ed io stesso non riusciamo ad avere difese riguardo ai
sentimenti delle persone che stanno intorno a noi.
Se fosse come dicono dovremmo vivere nella totale indifferenza dell’altro, in una specie di coma dei sentimenti che ci
renda imperturbabili, impermeabili alla gioia come alla noia, al dolore, alla rabbia o a qualsivoglia moto dell’animo e io
non disturberei compagni di classe e insegnanti con i miei scoppi di pianto immotivati, almeno in apparenza.
So che questo alcuni di voi stanno pensando:è vero,proprio così, l’autistico è un guscio vuoto e si vede, se altrimenti
fosse avrebbe altra mimica, altri comportamenti.....
Anch’io dico: è vero, questo appare.
Ieri nel mio giardino esposto a nord, nella mia casa del nord è fiorito l’ibisco, un rosso fiore del sud che ama il sole e il
caldo.
Forse per questo il mio giardino o la mia casa non sono più al nord?
Forse per questo non è più autunno, un uggioso autunno in una uggiosa cittadina del nord?
Il mio fiore rosso sembra smentire l’autunno e l’atlante geografico, ma è evidente a tutti che l’ibisco mente e nessuno
penserà mai di ricorrere ad una bussola per averne conferma.
Tuttavia il mio fiore testardo e resistente ha mutato per un breve attimo il mio autunno in radiosa estate e per un
breve attimo una menzogna è stata la mia verità.
Ma era davvero una menzogna?
L’osservatore che sta fuori da un sistema e si limita alla pura osservazione rischia di cadere vittima dell’illusione, è
sufficiente che non consideri una sola delle variabili.
Se al contrario si osserva il sistema dall’interno, parte noi stessi dell’intero, si avranno punti di riferimento meno
distorti e maggiore attenzione alle variabili perchè noi costituiremo una di esse.
Per molti anni ho lanciato la palla in faticosi quanto inutili tentativi di fare canestro.
I suggerimenti usuali ”...guarda bene il canestro, spingi più in alto le braccia,fletti le ginocchia....” non erano serviti a
niente,il tiro era di volta in volta troppo corto, troppo lungo, troppo a destra o a sinistra, mai utile.
Un giorno mia madre mi porge il pallone e, frenando il mio tentativo di fuga, dice: ”Calibra la spinta ricordando che la
palla ha un peso, il canestro ha sempre eguale altezza e dimensione, se ti sposti cambi angolo e direzione e...oggi c’è
vento”: ho fatto canestro, il primo di una lunga serie.
Mia madre non è un fisico ma, entrata a far parte del mio sistema di funzionamento, mi aveva fornito le indicazioni
giuste perchè io non fossi più fuori dal sistema.
Certo è però che mia madre, e non solo lei per fortuna, ha sempre pensato che ci fosse, oltre ogni apparenza, un
sistema da scoprire e in cui entrare.
Credo anche d’essere riuscito a tenere in forte allenamento la parte più eclettica di lei.
Ma, tornando a Pirandello, a mio parere bisogna che sia radicata in noi la convinzione d’essere per conservare
pressocchè intatta la propria unicità e la propria unitarietà.
Se questo vale per chiunque, per chi come me necessita di un mediatore per la traduzione in termini genericamente
codificati di ogni espressione benchè piccola del proprio sè, il rischio di identificarsi o essere identificato con
l’immagine che l’altro ha è altissimo.
“Ci vuole un fisico bestiale...” canta Luca Carboni,una grande presunzione e una forte dose di autoironia, aggiungo io,
per continuare ad essere D.O.C. a dispetto di qualsiasi volgare etichettatura d’occasione .
Manca un altro ingrediente alla buona riuscita del mio cocktail che sembrerebbe in contrasto con quanto ho detto
prima,quando ho parlato di presunzione, ed è l’umiltà .
Se la presunzione mi ha aiutato a trovare l’orgoglio di essere come sono e l’autoironia ha smorzato toni altrimenti
troppo alti, l’umiltà mi ha insegnato ad accettare l’aiuto degli altri, di tutte le persone che per amore hanno reso
possibile il mio percorso di crescita e che oggi io ringrazio dal più profondo del cuore perchè non si sono arrese e alla
mia fatica hanno unito e continuano ad unire la loro affinchè da una parte io sia io e solo io e dall’altra acquisisca la
capacità di mostrare me stesso in modo sempre più comprensibile all’esterno.
In fondo è stata questa la parte più difficile: trovare le strategie per rimanere fedele a me stesso e nello stesso tempo
consentire a chi mi sta intorno di superare lo specchio dell’apparenza per incontrare la mia mano, un po’ come
succede in certe favole in cui i personaggi si ritrovano in un mondo parallelo e scoprono che nella realtà per vivere
con pienezza non è necessario rispettare un modello, ma piuttosto è importante conoscersi e accettarsi, debolezze
comprese, in postazione d’ascolto attento di se stessi e dell’altro.
Nelle favole i personaggi si tengono per mano,un saltello fuori dallo specchio e...Hoplà!...la favola si conclude con
un”...e vissero per sempre felici e contenti.”
E nella realtà?
Nella realtà la mia favola, dall’intreccio complesso e ricco di necessarie analessi, non consente anticipazioni e in fondo
all’ultima pagina si legge : continua.......
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